La morte di Beethoven: la fine di un genio

Fino alla fine della sua travagliata esistenza, Ludwig van Beethoven non ha mai smesso di creare e innovare la Musica. La sua vita biografica, costellata da momenti bui e di grande dolore fisico e mentale, sembra essere completamente scollata da quella artistica, che invece è un brillare di forza e grandi innovazioni musicali che cambieranno per sempre il corso della Musica.


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Beethoven che cammina in campagna
Foto di Julius Schmid

È risaputo che l’ultimo periodo della vita di Ludwig van Beethoven sia stata alquanto difficile sia per i problemi fisici che il compositore doveva affrontare sia per la sua condizione psicologica e comportamentale sempre più tesa e complicata, anche nei rapporti con i propri familiari (questo tema è approfondito nell’articolo L’inizio del declino di Ludwig van Beethoven); nonostante questo periodo così buio e difficile, però, la sua produzione musicale è stata estremamente viva e straordinaria.

Il suo modo di comporre era abbastanza paradossale. Infatti, non vuole abbandonare la forma classica del passato (quella del Settecento, per intenderci) ma allo stesso tempo inserisce delle novità tali che durante tutto l’Ottocento non riusciranno ad essere comprese a pieno né dal pubblico né dagli altri compositori e si dovrà aspettare il Novecento per attribuire tutta la grandezza che Ludwig van Beethoven merita nel panorama musicale.

Uno dei più importanti apprezzamenti arriva da un grande musicista (e, forse, uno dei pochi critici musicali veri che abbiamo mai avuto) come Robert Schumann, che in un suo articolo proporrà di costruire un vero e proprio tempio in suo onore e un monumento degno della sua grandezza.

Se fossi un principe costrurrei per lui un tempio nello stile del Palladio: vi sarebbero dieci statue; Thorwaidsen e Dannecker non potrebbero crearle tutte, ma almeno potrebbero farle finire sotto i loro occhi; nove sarebbero le statue, come le Muse, per le sue sinfonie: Clio sarebbe l’Eroica, Talia la Quarta, Euterpe la Pastorale e così via, Egli il divino Musagete. Là dovrebbe raccogliersi di tempo in tempo il popolo dei cantori tedeschi, là dovrebbero tenersi gare, feste, là dovrebbero essere eseguite le sue opere nel modo più perfetto. Oppure, un’altra cosa: prendete centinaia di querce centenarie e servitevene per scrivere sul terreno con tale scrittura gigantesca il suo nome.

Secondo l’idea di Schumann un monumento che doveva dare il benvenuto a tutti coloro che entravano in Germania navigando sul Reno e che doveva mostrare tutta la grandezza della più grande personalità musicale del paese. In un suo articolo propose diverse idee e suggeriva di ispirarsi al colosso costruito in Italia sul Lago Maggiore, la statua del San Carlone che si trova ad Arona ed ha ispirato anche la costruzione della Statua della Libertà:

Oppure scolpitelo in una forma colossale come il San Borromeo al Lago Maggiore, affinché egli possa, come già faceva nella vita, guardare al di sopra di tutte le montagne – e quando i battelli del Reno passeranno e gli stranieri chiederanno che cosa significhi quel gigante, ogni fanciullo potrà rispondere: è Beethoven – ed essi penseranno che sia un imperatore tedesco. O se volete esser utili ai viventi, fondate in suo onore un’Accademia intitolata “Accademia della musica tedesca”, in cui avanti tutto sia insegnato, il suo Verbo, il Verbo secondo il quale la musica non debba essere coltivata come un mestiere comune da chiunque; ma dischiusa dai sacerdoti come un mondo meraviglioso agli eletti; una scuola di poeti, più ancora, una scuola di musica nel significato greco. In una parola: sollevatevi una buona volta, lasciate la vostra flemma e pensate che questo monumento sarà ben pur il vostro!

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San Carlo Borromeo ad Arona sul Lago Maggiore

Il fatto che Ludwig van Beethoven abbia formato un’epoca con la sua Arte è cosa risaputa e accertata. Ha dello straordinario pensare che con la composizione della sua Grande fuga in si bemolle maggiore (op. 133), scritta nell’autunno del 1825 (solo due anni prima della sua morte) egli abbia avuto l’inventiva e la forza di decretare la nascita ufficiale del Romanticismo musicale. Tutta l’opera è pervasa da uno stupendo dialogo fra i vari strumenti e l’ascoltatore può facilmente perdersi nella poesia di questa conversazione.

Le avvisaglie che la fine della sua esistenza è imminente le possiamo trovare già nel 1823 (due anni prima della composizione della meravigliosa Grossa Fuga, op. 133). In occasione delle festività natalizie di quell’anno, la poco amata cognata Johanna gli invia gli auguri di Natale. La risposta inviata da Ludwig non sarà delle migliori, come ci si aspetterebbe dato il rapporto molto teso tra i due, e la situazione è ulteriormente peggiorata anche a causa dei suoi dolori lancinanti. Secondo la donna, infatti:

il maestro è diventato quasi pazzo.

La sua ultima estate, quella del 1826, la trascorrerà in compagnia. Ormai il grande Ludwig van Beethoven deve convivere con una sordità quasi totale e con dei dolori addominali diventati cronici. La sua condizione umana così dolente (spiritualmente e fisicamente) è descritta molto bene dalle pesanti parole di un medico dopo una visita:

scosso da brividi e da tremiti, e piegato in due dai dolori che gli torcono il fegato e l’intestino. I piedi appaiono tumefatti, si sviluppa l’idropisia.

Il 26 marzo 1827 uno dei più grandi compositori di tutti i tempi entra in coma. Secondo la leggenda, pare che anche la sua odiata (e allo stesso tempo tanto amata e desiderata) Johanna corra al suo capezzale. I suoi funerali sono imponenti; si celebrarono alla presenta di 30.000 persone tra le quali c’era anche Franz Schubert, che sarebbe morto l’anno dopo, a soli 31 anni.

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